IL VINCITORE DEL DAVID DI DONATELLO PIERFRANCESCO FAVINO PER IL FILM “IL TRADITORE”
Come hai fatto nel tempo a mantenere integra la tua vita privata?
Credo che l’equilibrio non sia uno soltanto e ho impiegato un po’ ad arrivarci perché io provengo da una famiglia in cui mamma e papà erano sempre lì. Per me quindi non è stato facile fare i conti col mio mestiere che mi porta a fare cose diverse. Quel modello di riferimento non è assolutamente attuabile. Esiste però un equilibrio della nostra vita, del fatto che ci sono delle scelte che puoi e devi fare, non è così vero che non puoi rinunciare. Sai che se rinunci a delle cose, c’è qualche altra cosa altrettanto importante. E’ vero che si batte il ferro finché è caldo ma è anche vero che se altri ferri si raffreddano fanno peggio. Allora dipende anche su cosa vuoi investire nella tua vita e l’investimento vale la pena quando è dedicato anche ai propri figli.
Parlando di rinunce, quanto conta nel percorso attoriale e nella carriera dire “no”?
Sicuramente ci sono dei no che si fa bene a dire, nel momento in cui hai la possibilità di poter scegliere però ci sono dei no che poi alla fine sconti. L’importante è che tu sappia perché stai dicendo quel no e che quella cosa ha un grande valore per te.
Quali sono le tue letture preferite?
Ho riscoperto il “fascino” dei saggi sulla fisica quantistica. Che leggo di notte cercando di non disturbare con la luce la mia signora. Forse sarà per questo che fatico a capirli.
C’è un ruolo che vorresti interpretare e uno che invece non vorresti proprio?
Sai io ho sempre fatto gente col cerchio alla testa, della serie “non sai che mi è successo…” un po’ forse è la faccia che c’ho. Benché io ho sempre pensato che avrei fatto l’attore comico. Mi sembra limitante dire: vorrei fare San Francesco…o voglio fare Che Guevara. Per quanto riguarda il teatro ci sono cose che vanno fatte e chi non le fa, sa che non le ha fatte. Ad esempio se non hai mai fatto Amleto, non lo hai mai fatto e non ce ne sta un altro. Per quanto riguarda il cinema è un po’ diverso. Ci sono tante figure che mi interessano ma quello che mi piace dell’umanità è l’incapacità di essere chiusa all’interno di una sola identità e non penso che un uomo sia una cosa sola ed è il motivo che mi spinge a cercare tutte le volte che ho materiale a disposizione quanti uomini in potenza può essere un essere umano.
Quale è stato il tuo impatto nel lavorare in una produzione americana? Quali sono le principali differenze con la realtà italiana?
Io sono andato a fare un provino per Cristoforo Colombo in Una Notte al Museo, faccio in realtà il tape e lo mando. Lo avevo detto ad un paio di amici che avevo fatto un provino per un film con Ben Stiller e una sera a cena mi chiama un mio amico che secondo me, fa finta di parlare americano chiedendomi di presentarmi il giorno successivo etc.. e io rispondo si vabbè Fa’ basta e attacco. Mi richiamano, mi danno l’appuntamento e io chiamo la mia agente che mi conferma tutto. Mi dice solo: guarda che c’è un truccatore che viene e io tra me dicevo che strano dobbiamo girare a Vancouver e questo viene qui…
Mi fanno arrivare in un albergo romano e mi fanno un calco da capo a piedi, della faccia, del busto… e tra me e me dicevo sarà il loro modo di lavorare. Dopo di che arrivo lì e come avete visto o no, tanto non mi ha riconosciuto manco mia madre, stavo in questo scafandro di statua da Cristoforo Colombo. Per cui il primo passo nel cinema americano è stato di guardare senza poter essere visto. E’ stato però perfetto nel mio percorso perché non ho avuto nessuna responsabilità grande comunque c’è una differenza culturale nell’impostazione del lavoro. Ambiente iper controllato con grandi possibilità. Apparentemente meno creativo con 350/400 persone che lavorano ad un film. Io sono abituato a set con al massimo 70 persone e una creatività e una collaborazione diversa, se vogliamo più esplosiva. Detto questo tra azione e stop non è che ci sia una grande differenza.
Il cinema americano è l’investimento più grande della loro cultura nel mondo. Grazie al cinema stiamo qui a parlar di un film del 1941 che vuol dire che ha segnato il nostro modo di pensare.