«Un po’ più di prudenza nel riaccogliere Silvia in Italia?  Ho visto questo dibattito, noi eravamo lì, e io ero lì, perché in questo anno e mezzo di prigionia di Silvia Romano l’Unità di Crisi della Farnesina, io stesso, abbiamo sentito la sua famiglia veramente ogni giorno ed eravamo lì ad assistere la famiglia, perché lo Stato era lì, eaccogliere una cittadina italiana liberata dopo un anno e mezzo nelle mani di una cellula terroristica. Giusto per darle un’idea, io a dicembre ho sentito il padre di Silvia, sapevo che lei era viva e non potevo dirlo al padre, perché lei sa bene che in questi casi se si danno informazioni e c’è una fuga di notizie poi si rischia che alla fine non riusciamo a riportarla a casa e di compromettere tutto. E poi le posso dire un’altra cosa: io rispetto tutte le discussioni, tutte, però siamo un Paese che si dà spesso la zappa sui piedi perché io sono orgoglioso del fatto che la nostra Intelligence, le nostre Forze Speciali, il nostro Corpo Diplomatico, l’Unità di Crisi, hanno fatto squadra e ce l’hanno fatta e credo che dobbiamo anche, soprattutto, rispettare questa ragazza perché nessuno di noi sa che cosa significa stare un anno e mezzo in mano a una cellula terroristica che arruola i bambini, di terroristi criminali. Aspettiamo anche che questa ragazza, Silvia Romano, che torna in Italia in questo momento possa ritrovare una sua serenità. E invece addirittura si sono scatenati una serie di attacchi e minacce che rischiano di farle avere la scorta in Italia. Dopo che l’abbiamo liberata da una cellula terroristica, rischiamo di darle la scorta in Italia». Queste le parole del ministro degli Affari Esteri Luigi Di Maio,intervistato da Mario Giordano a “Fuori dal Coro”, in prima serata su Retequattro sulla liberazione della cooperante milanese Silvia Romano, e le relative polemiche che si sono scatenate in questi giorni.

Sul presunto riscatto pagato dall’Italia e confermato dal portavoce di Al Shabaab in un’intervista a Repubblica, Di Maio sottolinea: «Ovviamente non bisogna darsi le risposte come conviene. Nel senso che è legittimo farsi delle domande, ma la prima domanda che mi faccio io è perché se un terrorista che viene intervistato e dice una cosa, la sua parola vale più dello Stato italiano. A me non risultano riscatti, altrimenti dovrei dirlo e le posso dire anche, aggiungendo, che ho visto che Silvia è stata accusata da vari commenti del fatto che sorrideva mentre scendeva dall’aereo. Noi non sappiamo dietro quel sorriso che cosa può esserci per una ragazza che è stata rapita per un anno e mezzo e non sapeva se quel giorno poteva mangiare e non sapeva se andando a dormire poteva risvegliarsi. Noi queste cose non le sappiamo e io non voglio fare la morale a nessuno, però non è neanche così automatico andare contro noi stessi com’è stato dopo che le posso assicurare che nel mio ministero ci sono persone che hanno sentito la madre e il padre in lacrime per un anno e mezzo che non sapevano se la loro figlia era viva oppure no. Questo è quello che vorrei trasmettere. E anche il fatto che siamo riusciti a riportarla a casa e questo è un merito della nostra Intelligence, di persone che hanno rischiato la vita per andarla a prendere lì, in paesi lontani dall’Italia e riportarla qui, con delle operazioni riservate ovviamente, con operazioni che richiedono dei professionisti e delle persone che rappresentano il meglio delle nostre forze».

Rispetto alla conversione di Silvia Romano, il ministro degli Affari Esteri commenta: «E’ lecito farsi tutte le domande. Io la prima domanda che mi faccio è: Silvia quando è stata rapita aveva 23 anni, molte delle persone che stanno ascoltando in questo momento hanno figli di 23 anni, a quell’età finire nelle mani di una cellula terroristica per un anno e mezzo, passare da uno stato all’altro a piedi con marce di cui è stata protagonista lei. Io prima avere certezze su ciò che ha deciso lei, su ciò che non ha deciso, mi chiederei: come sta Silvia Romano? Forse è il caso di abbassare i riflettori su questa ragazza, consegnarla all’amore della sua famiglia che potrà aiutarla a rielaborare tutto quello che è successo oppure una ragazza che viene da un’esperienza del genere deve essere in qualche modo accusata per le cose che ha dichiarato al magistrato neanche 24 ore dopo che le nostre forze l’avevano prelevata e portata nell’ambasciata a Mogadiscio? Io non ho certezze,  ciò che le posso dire è che in questo ministero ci occupiamo, e le persone che sono qui si occupano di rapiti  da tanti anni, e ogni volta che si riporta un italiano a casa noi siamo contenti, perché quell’operazione è iniziata anni e anni prima e i genitori non sanno durante quegli anni se i loro figli, o i loro cari, sono in vita o sono morti. A volte leggono sui giornali notizie false e non gli puoi dire neanche se quella notizia è falsa».

Infine, sull’eventuale rivalsa dello Stato verso l’Ong Africa Milele, qualora dovessero emergere delle leggerezze da parte dell’organizzazione dal punto di vista della protezione di Silvia Romano in Kenya, Di Maio spiega: «l’Ong in questione non è una delle Ong riconosciute dal Ministero degli Esteri. Poi detto questo non è necessariamente un demerito, non voglio assolutamente creare un classismo tra Ong riconosciute dal ministero o meno, soltanto che non fa parte di quelle Ong che la cooperazioneinternazionale italiana finanzia. Detto questo, è chiaro che su questo vorrei aprire un altro tema: molte volte si dice per evitare i flussi migratori dobbiamo aiutarli lì.  Ricordiamoci che quando li aiutiamo lì noi andiamo lì con dei volontari, non andiamo lì soltanto, come le operazioni di peacekeeping a volte, con i nostri militari, che sono il nostro orgoglio, o con il nostro corpo diplomatico, che è il nostro orgoglio, ma anche con i nostri volontari. Detto ciò, tutto quello che si potrà fare per chiedere maggiore sicurezza dei volontari impiegati dalle Ong, io lo farò, lo faremo come ministero degli Esteri. Ricordiamoci però che l’Italia è famosa nel mondo per tante cose, tra queste anche i suoi volontari e anche i missionari italiani, che a volte sono anche persone della Chiesa, che rappresentano comunque un modo di essere Italia all’estero che non è mai aggressivo, è sempre legato all’aiuto del prossimo. E più investiamo lì più evitiamo comunque che i flussi arrivino in questa direzione».

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