Ho pensato a lungo se scrivere o meno questo post. Il desiderio di dare sfogo ai miei pensieri è stato subito impellente, ma non volevo che la rabbia o, peggio ancora, l’arroganza, prendessero il sopravvento.
Così ho atteso, riflettuto, ascoltato.
Ma niente, sono più incazzata di prima!
E fremo, scalcio… Come un bimbo nel ventre materno.
Quindi, perdonate, ma permettetemi di dire la mia…
Io, oggi, in questo Paese, non mi riconoscono più!
Non mi riconosco più nell’arroganza di alcuni politici (se vogliamo definirli tali), che approfittano di questo momento nella speranza di acchiappare più elettori possibili.
In chi occupa il Parlamento, ricordando ironicamente le occupazioni studentesche.
Ma non quelle in cui ci si batteva davvero per i propri diritti. Bensì le ormai note “assemblee d’istituto”, o se vogliamo “autogestioni”. Che sanno tanto di “Figo domani niente scuola“.
Non mi riconosco più in governatori, come la Santelli, che decidono il bello ed il cattivo tempo, a spese dei propri cittadini.
Chiudo, apro… Apro e di nuovo chiudo… Come se la propria terra fosse un semplice sipario.
Un teatro degli “errori“, dove chi sbaglia non muore, ma rischia di uccidere la sua gente.
E allora sai che facciamo? Ce la prendiamo con la criminalità organizzata. “O ci siamo noi a dare delle risposte, oppure questo territorio diventerà preda di chi le risposte purtroppo le dà. E si chiama criminalità organizzata“.
Si è giustificata così la nostra Santelli.
In fondo si sa, la Calabria è la terra della mafia!
Non è la terra dell’accoglienza, degli immensi campi coltivati, dell’umile contadino che cura la sua terra come fosse un figlio.
Non è la terra dalle acque ancora azzurre e le spiagge immacolate .
No, non è la terra del “sali che ti faccio un caffè” o del “se hai bisogno chiama“.
Non è la terra dei tanti medici luminari che, altrove, salvano vite.
Non è la terra della Magna Grecia e di Pitagora, Milone, Filolao…
Del Premio Nobel catanzarese Renato Dulbecco e il luminare reggino nel campo della chirurgia toracica Francesco Crucitti. Definito il ‘chirurgo del Papa’, per aver effettuato ben quattro interventi su Giovanni Paolo II.
Cara Santelli, in un secondo ci hai spedito indietro di anni. Tirando fuori un luogo comune che per troppo tempo ci ha perseguitati, etichettati. Spesso emarginati.
“O noi o i clan“, così titola l’AGI la notizia dell’improvvisa, quanto destabilizzante, apertura della Calabria.
Quale sensazione di sicurezza, o meglio ancora, rinascita, può dare ai calabresi una giustificazione del genere?
Stiamo per avventurarci nella fase più critica dell’emergenza, un minimo passo falso e i nostri ospedali saranno davvero al collasso.
In un momento in cui gli italiani hanno bisogno di essere rassicurati, incoraggiati, si ritrovano a fare da pubblico a ridicoli giochi di potere.
Se fino a ieri l’Europa ci guardava con ammirazione, oggi dovrebbe sbatterci sulle prime pagine di gossip.
Tanto vale dare credito alle iniezioni miracolose di Trump. O ad un agghiacciante “abituatevi a perdere i vostri cari” di Johnson. E ancora, senza voler andare troppo lontano, ad un nostro ex presidente del consiglio che, senza vergogna, dice: “se i morti di Bergamo potessero parlare direbbero di ripartire anche per noi“.
Se non vogliamo dare voce a chi, confrontandosi con il Comitato Tecnico Scientifico, la protezione civile e chi davvero può mettere sul tavolo una valutazione dei rischi, portandoci in qualche modo, a poter pianificare una fase due, ascoltiamo i medici, gli infermieri e tutto il personale sanitario.
Negli ospedali c’è ancora gente che muore di Covid.
E allora sì, facciamo ripartire l’economia, pensiamo anche a chi, se non muore di Covid, morirà di fame.
Ma collaboriamo.. Tutti! INSIEME.
Solo come un grande Paese sa fare.
E soprattutto, non dimentichiamo che questa pandemia è un evento completamente nuovo. Una pagina della nostra storia che nessuno avrebbe voluto scrivere.
Per l’ipocrisia avremo tempo quando saremo tornati alla normalità. Per adesso limitiamoci alla coerenza.
Mi sembra già una grande conquista.
Questo è l’appello di una comune cittadina italiana, che da casa, ogni giorno, si chiede: “quando sarà davvero tutto finito?“.