Si è tenuto a Roma il 27 febbraio il Convegno cultura e psiche, la cui organizzatrice è stata l’avv Patrizia Valeri, esponente di spicco dell’International Women’ club of Roma.
Affrontando tutte le tematiche partendo da un’analisi attenta dell’incidenza della cultura nella psiche nei vari contesti dinamici, e su come la stessa si riflette anche nell’ambito del cinema e del teatro e della letteratura, la prima relatrice è la Professoressa emerita di storia della filosofia contemporanea presso la Pontificia Lateranense di Roma Angela Ales Bello che si è soffermata sulla dimensione culturale dell’umano. Si è soffermata sul clima culturale che caratterizza l’Occidente, laddove prevale una nuova, raffinata forma di Positivismo, per cui le scienze umane e la psicologia in particolare sono assoggettate agli studi neuro-scientifici delle strutture cerebrali. Angela Ales Bello, ispirandosi alla fenomenologia di Husserl e della sua discepola Edith Stein, si propone di fornire una base teorica di tipo antropologico alla psicologia. Determinante è il riferimento continuo all’analisi esistenziale dello psichiatra svizzero Ludwig Binswanger, che si distingue sia dall’impostazione freudiana che da quella junghiana. Di conseguenza diventa possibile elaborare una comprensione della persona umana alternativa all’approccio riduzionista e a quello puramente psicoanalitico.
Il prof Di Nunzio Michele, psicoterapeuta e criminologo presso la LUMSA di Roma unitamente alla Dott.ssa Roberta Costantini hanno offerto spunti di riflessioni ampi su argomenti molto dibattuti considerato il rapporto tra la cultura e la psiche , soffermandosi sul tema dialoghi antropologici. Infatti hanno puntualizzato come nel mondo di oggi non è facile parlare di dialogo. Proprio a causa della globalizzazione, del terrorismo internazionale e del cosiddetto “scontro di civiltà”, la paura degli altri siano essi individui, uomo /donna, popoli, culture, religioni diverse . Tutto ciò rischia di chiudere gli individui nel localismo e nell’egoismo personale. Certamente il dialogo a livello antropologico, tiene conto delle caratteristiche umane di base per poter comunicare con gli altri . Moltissimi studiosi hanno realizzato una serie di ricerche filosofiche, teologiche, antropologiche e culturali individuando nel silenzio, nel dialogo, nella relazione, nell’interiorità e nella comunità i pilastri fondamentali per tutte le relazioni umane e per stabilire l’incontro con gli altri.
Il Prof Giuseppe Martini psichiatra e psicanalista ha relazionato su temi importanti partendo da due concetti : simbolo e infinito e riflessioni aperte sulla incidenza della cultura nella psiche .
Riferimenti puntuali ad alcuni saggi sulla psicoanalisi, difficilmente reperibili, di Paul Ricoeur, e alle sue dichiarazioni rese in occasione del novantesimo compleanno del filosofo. Affrontare il rapporto tra ermeneutica e psicoanalisi è determinante per illustrare il fecondo passaggio da una ermeneutica del simbolo a una ermeneutica della narrazione, per giungere a una ermeneutica della traduzione.
Inutile dire che tutti gli studiosi lo hanno considerato tra i maggiori filosofi della contemporaneità. Basti pensare che Paul Ricoeur è sicuramente il filosofo con cui gli psicoanalisti più si sono confrontati. La ragione di ciò risiede soprattutto nella sua fondamentale opera del 1965 “Della interpretazione” Saggio su Freud, per più di una ragione anticipatrice di temi e problematiche che solo nei decenni successivi diverranno centrali in ambito psicoanalitico.
Dopo quest’opera, il filosofo non si è più sistematicamente confrontato con la psicoanalisi; nondimeno ha saputo fornirle contributi “indiretti” e occasioni di riflessione attraverso le sue opere successive. Infatti ha dedicato alla psicoanalisi brevi saggi e interviste.
Precisamente nella intervista-conversazione, rilasciata in occasione del suo novantesimo compleanno, oltre ad una revisione di certe precedenti posizioni, lo stesso rapporto tra ermeneutica e psicoanalisi è stato affrontato alla luce dei suoi ultimi studi che concernono i problemi della rappresentazione, del linguaggio e della traduzione e, su di un piano etico, il passaggio “da una filosofia della colpa ad una filosofia della compassione”.
Bisogna dire che nel loro arco temporale (1977-2003), gli scritti di Ricoeur illustrano anche il percorso che conduce da una ermeneutica del simbolo ad una ermeneutica del testo, per giungere ad una ermeneutica della traduzione, percorso che non esclude un movimento circolare tra le tre, fecondo tanto per la filosofia quanto per la psicoanalisi.
Paul Ricoeur è considerato una figura tra le più significative del panorama filosofico contemporaneo. Tra le sue ultime opere ricordiamo: Sé come un altro, La memoria la storia l’oblio, Percorsi del riconoscimento. Il professore Giuseppe Martini è primario psichiatra del D.S.M. Roma E e psicoanalista membro della Società Italiana di Psicoanalisi. I suoi lavori: La sfida dell’irrappresentabile (Angeli, 2005) e, in qualità di curatore, Psicoanalisi ed ermeneutica. Prospettive continentali (Angeli, 2006)e altri ancora.
E’ intervenuta anche al Convegno per parlare di come la moda abbia avuto la sua influenza sulla psiche e sul costume sociale la dott.ssa Gloria Maccaroni.
Secondo la relatrice l’abito svolge una funzione degna di rilievo. Esso serve all’individuo per rappresentare la sua identità e, al tempo stesso, è simbolo dell’evoluzione culturale e del tipo di società che lo genera: costituisce, pertanto, un veicolo simbolico, uno strumento di comunicazione che consente di recepire e, al contempo, di dare informazioni strategiche sul singolo individuo e sul suo background.
La moda affonda le sue radici nell’Occidente della seconda metà del Trecento, affermandosi subito come fenomeno sociale cui si connette il mutamento del ruolo dell’abito. Esso non è più un costume pressoché immutabile in forma, colori e tessuti- come accadeva in una società statica basata sul passato come valore- ma diviene una forma di comunicazione sociale e di espressione di valori, status ed identità.
La moda inizia a costituire un mezzo attraverso il quale scegliere cosa esprimere, un veicolo di comunicazione e di influenza sociale in grado di mettere persino in evidenza potere, ruoli e appartenenza di classe: si pensi, ad esempio alla foggia dell’abito ovvero alla qualità dei tessuti che possono, rispettivamente, rivelare ruolo e identità, potere e successo. L’abbigliamento acquisisce, dunque, l’attitudine a fornire significative informazioni sulle persone.
Tornando ai nostri giorni possiamo dire che l’abbigliamento di una persona, che si tratti di un sari, di un kimono o un completo da ufficio costituisce un importante codice in grado di rivelare cultura, personalità, ed appartenenza ad una classe. La nostra immagine ci permette di salire su un palcoscenico e mostrare agli altri chi siamo. Si può dunque affermare che la moda condiziona in maniera sostanziale la nostra psiche, come è scritto nel saggio “psicologia sociale della moda” della dottoressa Paola Pizza psicologa della moda “La moda compie una mediazione tra l’individuo e la società con il suo giudizio”.
Un esempio tratto dal mondo della cinematografia potrebbe essere utile per comprendere
appieno i concetti sinora espressi. Si pensi al film “Una donna in carriera” (1988). Tess
McGill è una segretaria bella ed intelligente cha aspira a fare carriera: la sua pecca è che
manca di stile e di classe, di cui risulta invece provvista la sua manager. Quando
quest’ultima si frattura una gamba, Tess coglie l’opportunità di sostituirsi a lei: indossa i
suoi orecchini ed i suoi abiti eleganti, mette le sue scarpe e raccoglie i capelli. Ciò comporta
un radicale cambiamento di immagine, con conseguente accettazione della sua
figura come dirigente tanto che le sue idee- che prima, quando era vestita da segretaria,
nessuno aveva mai preso in considerazione- divengono la base di un progetto
imprenditoriale dell’azienda.
Ma se la moda condiziona il modo in cui consideriamo chi abbiamo di fronte, similmente condiziona anche il modo in cui consideriamo noi stessi!
L’abbigliamento è un “messaggio identitario” che se ben usato può aumentare sicurezza e efficacia interpersonale.
La dott.ssa Maccaroni in qualità di consulente d’immagine e docente d’immagine consiglia di prediligere un tipo di moda chiamata moda assertiva. Essa ci aiuta a sviluppare un rapporto positivo con la moda, garantisce la libertà di essere se stessi e di esprimere il vero sé senza pressioni sociali o imposizioni, superando gli stereotipi estetici, le false credenze e la mania di perfezione. Una moda che, in egual modo, tiene conto del contesto in cui la persona si trova e dell’entourage che la circonda. Si configura quindi come una moda rispettosa.
La stessa conclude con una citazione che lascia pensare:
”Gli abiti sono inevitabili. Essi non sono altro che la struttura della mente resa visibile”.
James Laver, Moda e costume
Mondanity
Ad impreziosire il valore del Convegno illustri ospiti del mondo giuridico, della psichiatria, della filosofia, della moda e dello spettacolo.
Ha impreziosito il convegno con la sua presenza e autorevole contributo il Prof Avv Antonino Battiati, facendo riferimento a Vito Mancuso con il libro “Non ti manchi mai la gioia. Breve itinerario di liberazione “, e lo stesso ha aggiunto una frase singolare di Seneca:
“Non ti manchi mai la gioia Voglio, però, che ti nasca in casa: e ti nascerà, se sorge dentro di te”.
Seneca
L’operato di Patrizia Valeri
L’avv Valeri Patrizia vice presidente dell’IWC di Roma si è dedicata alla realizzazione dell’evento soffermandosi sulla incidenza della cultura sulla nostra psiche anche attraverso il cinema , la letteratura e il teatro . Partendo da un’attenta disamina del Teatro che rappresenta da sempre una forma unica di espressione, un insieme di elementi performativi nati per una comunicazione diretta e indiretta. Parola, corpo e silenzio sono parte degli strumenti utilizzati dagli attori per far luce sulla realtà. Il loro scopo sta nel voler dar voce a storie e personaggi, sottolineandone anche gli aspetti negativi, perché come diceva Goldoni “Il teatro è vita e la vita è teatro”!Numerose ricerche scientifiche hanno dimostrato come vi sia una linea davvero sottile tra cinema e teatro letteratura e psicologia . Entrambi condividono tecniche come la comunicazione e l’espressione fin dall’antichità.
Si parla dell’immedesimazione dell’attore nel personaggio e le emozioni del pubblico, in campo psicologico la situazione è identica . Vi sono una quantità di aspetti recitativi messi in atto da psicologi e psicoterapeuti per analizzare le menti dei propri pazienti. Per comprendere meglio questo legame è necessario tornare indietro nel tempo, fino al concetto di catarsi, termine introdotto da Aristotele per evidenziare l’effetto che il dramma greco aveva sugli spettatori.
Dal greco kátharsis, “purificare”, per catarsi si intende la liberazione dell’individuo da una contaminazione che danneggia o corrompe la sua natura.
L’obbiettivo del dramma è quello di purificare gli spettatori eccitandoli artisticamente tramite alcune emozioni*: l’evento scenico “traumatico”, che rappresenta la messa in atto di un conflitto e delle sue conseguenze fino all’estrema lacerazione, inciterebbe il pubblico ad un’osservazione più consapevole. Il Coinvolgimento rappresenta presa di distanza, di posizione.
La psicologia quale reazione affettiva intensa determinata da uno stimolo ambientale o interno“.
La stessa filosofia vista in ogni stato, movimento, per il quale l’animale o l’uomo avverte il valore che una situazione determinata ha per la sua vita, i suoi bisogni, i suoi interessi“.
Le neuroscienze: “attivazione del sistema nervoso autonomo e dei centri nervosi“.
Il primo e vero incontro tra teatro e psicologia avvenne negli anni 60 con la nascita dei laboratori teatrali.
Tra il 1740 e il 1800 cominciarono ad allestirsi lavori teatrali nei manicomi e negli ospedali, si presupponeva che se un malato recitasse un personaggio con un’idea completamente opposta alla propria, quest’ultimo fosse in grado di liberarsi e quindi guarire dall’idea “fissa” di origine.
Il precorritore di questo processo fu Jacob Levi Moreno, l’ideatore dello Psicodramma, una forma di psicoterapia di gruppo nella quale ciascun paziente rappresentava sé stesso donando una forma drammatica teatrale alle vicende personali interiori, passate o presenti. Durante la condivisione collettiva si realizzava la nostra famosa catarsi, che permetteva al paziente di alleggerire le tensioni superando blocchi e disagi.
Esistono dei metodi che fondono tecniche teatrali e conoscenze di psicologia che rientrano nella sfera del counseling, uno strumento in grado di favorire il benessere psicofisico aumentando la conoscenza di sé stessi.
La recitazione permette di entrare in contatto con il nostro mondo interiore, perché sperimentando emozioni inespresse o situazioni inconsuete, abbiamo la possibilità di acquisire maggiore consapevolezza e quindi ascoltarci. Occorre ribadire che le tecniche teatrali hanno influenzato la nascita della psicologia moderna, nuovi studi empirici vengono condotti dalla psicologia cognitiva e dalle neuroscienze: neuroni specchio, acting imaging, tutti concetti che rinnovano questo legame antico nato per salvaguardare le nostre anime.
Il teatro consente ad ogni organismo di vivere lottare per motivi superiori e presenta una occasione di integrazione, il rifiuto delle maschere, il palesamento della vera essenza! La letteratura esprime con pienezza i veri sentimenti e tutti i tipi di emozioni . Come si può vivere prescindendo da questa disamina e’ pressoché impossibile .