La scelta del costume da bagno a volte diventa ardua, c’è chi predilige mettere in risalto la propria forma fisica, altri invece puntano all’originalità, insomma le spiagge diventano vere e proprie passerelle. D’altronde trascorriamo metà anno ad impegnarci per la cosiddetta “prova costume”. La storia, l’evoluzione del costume da bagno, è profondamente legata al mutamento delle tradizioni socioculturali della società. Il mondo della moda ha sempre risentito delle correnti culturali che si sono susseguite, dovendosi spesso adeguare ad essi. I primi ad utilizzare i costumi da bagno furono gli antichi greci, i quali lo sfoggiavano nei bagni pubblici e per la pratica degli sport acquatici. A dire il vero Piazza Armerina in Sicilia, vi è un mosaico romano che appartiene al III sec. d. C., su di esso sono ritratte alcune donne mentre giocano, le quali indossano un costume che ricorda molto il bikini, per la praticità che comportava, veniva utilizzato quando si praticava uno sport o una danza. Nel Medioevo e nel Rinascimento si usava fare il bagno nudi, tranne per qualche eccezione, che consisteva in un corpetto con spalline e gonna, ed alcune volte anche il turbante. Agli inizi del XIX secolo un forte senso di pudore induceva le donne a coprire il loro corpo, al mare utilizzavano ampi mantelli chiusi fin sopra il collo. Il 1850 è l’anno del costume molto castigato e particolare: gonfi pantaloni al polpaccio, con sopra un abito lungo fino al ginocchio e addirittura scarpe allacciate. La donna per concedersi una moda un pò piu estroversa, deve attendere la metà del XIX secolo, in cui la società approva la possibilità di presentarsi al mare con costumi meno castigati. È la volta del due pezzi formato da un vestito che avvolgeva il corpo dalle spalle alle ginocchia, con sotto un pantalone lungo fino alle caviglie, abbinato a scarpette e cappello a visiera. Un modello che andò in voga fino al primo decennio del Novecento. In quei tempi si tendeva a coprire il corpo per non abbronzarsi, visto che l’abbronzatura era considerata volgare. Per noi invece è come se fosse un accessorio sensuale, infatti proprio per avere una “tintarella” dorata utilizziamo tante creme, e ci sottoponiamo ad estenuanti ore sotto il sole. A quei tempi classe ed eleganza era sinonimo di pelle candida e chiara, denominata “peau de lune” (pelle di luna). La pelle abbronzata era attribuita alle classi inferiori, al popolo che avevano quel colorito a causa delle ore trascorse sotto il sole a lavorare nei campi. Ecco perché le donne aristocratiche appena uscivano dall’acqua e sostavano in spiaggia, indossavano abiti molto leggeri e chiari, guanti e parasole, e ricorrevano a creme sbiancanti, un modo per mettere in . In Italia si è diffusa in ritardo la consuetudine di trascorrere il proprio tempo libero e le vacanze al mare, ci troviamo nell’anno 1880. Alla fine del XIX secolo si accorciano un pò i vestiti e e si impone la moda “navy” che si ispira alla divisa dei marinai. Essa era caratterizzata dallo sfondo a righe blu e bianche, a volte anche rosse, bottoni dorati e cappelli nautici. I vestiti presentavano il collo rettangolare con scollatura sul dorso. Pian piano è diventato un capo, una fantasia iconica, diffusa ancora oggi. Il successo di questo trend è stato inaspettato, in quanto la società aristocratica non apprezzava le righe, poiché rievocava quelle delle divise dei prigionieri, dei galeotti oltre che quelli dei marinai come già accennato. Gli anni 70 sono contrassegnati dalle maniche a sbuffo, bustini sotto il costume che servivano a mettere in luce le viti sottili, i gonnellini a campana, i famigerati pantaloni alla zuava. Subiscono delle trasformazioni anche le scarpe da mare, ora sono traforate, e vengono allacciate alla caviglia con delle stringhe, i capelli vengono sostituiti dai foulards in tessuto impermeabile annodati sopra la testa. I pregiudizi verso la pelle abbronzata, vennero aboliti nel XX secolo, grazie alla scoperta scientifica del medico Niels Finsen, il quale capì che attraverso l’esposizione alla luce solare, si potevano contrastare le patologie provocate dalla mancanza della vitamina D, e nel 1903 vinse anche il Premio Nobel. Ciò convinse molte persone a progettare vacanze al mare, a scoprirsi, compresi gli afferenti al ceto sociale aristocratico. Nacquero I costumi interi ed i pagliaccetti lunghi ed aderenti. È Carl Jantzen il realizzatore del costume a due pezzi (1913), costituito da un pantaloncino la cui lunghezza arrivava a metà coscia, la cintura ed una canottiera, associati a due accessori: cuffia per capelli e calzettoni. Con il passare del tempo la società allarga le vedute, ed inizia a sviluppare un nuovo modo di concepire il proprio look. Pian piano la moda viene sottoposta a nuovi cambiamenti, con essa quindi anche il costume da bagno. Negli anni 20 si evolve, è più aderente, con shorts corti o coulottes, con nuance colorate e scollature più ampie. Mentre prima per la realizzazione si utilizzava la lana ed altri tessuti, ora si da ampio spazio alla seta, per dare un tocco di eleganza. Sempre nello stesso periodo nasce “il pigiama da mare”, indossato sul costume, un ensemble con blusa smanicata, pantaloni palazzo, giacca e cintura a fascia aderente in vita. Le scollature permettavano di avere la schiena scoperta. Si propaga la moda della “Cintura Valaguzza”, in Jana, dotata di fibbia dove venivano inseriti specchietto e trousse, da permettere alle donne di rifarsi il trucco anche in spiaggia, ed essere sempre impeccabili. Arriviamo al 1946 con la creazione del bikini per opera dei famosi sarti francesi Jacques Heim e Louis Reard. Avendo dimensioni ridotte, Heim gli diede il soprannome “Atomo”, mentre Reard lo denominó: “Bikini”. Ovviamente attirò alcune critiche, troppo rivoluzionario, troppo succinto con l’ombelico scoperto. Si diffonde l’uso dei pantaloni alla pescatora, fusciacche, sciarpe, le fantasie erano a pois, a quadrettini, decorati con spighette o sangallo. Negli anni 70 le dimensioni dei costumi vennero ridotte ulteriormente, entra in scena il bikini con il reggiseno a triangolo, e persino il “monokini” ed il “topless”. Il “monokini” era formato solo dalla parte inferiore, fu un’invenzione di Rudi Gernreich. Ormai il verbo coprire ed il senso del pudore sono solo un ricordo, lasciando il posto alla seduzione, i centimetri di tessuto dei bikini erano sempre di meno. Il tanga è figlio è figlio degli anni 80, e venne importatato dal Brasile. Quelli maschili seguivano la stessa linea, e in spiaggia sfoggiavano gli slip. In Italia la moda del topless ha creato molto rumore, denunce, ma piano piano la società ha dovuto accettare la sua presenza. Per quanto riguarda i tessuti utilizzati, nel 1920 si inizia ad usare il rayon, una fibra semi artificiale ottenuta dalla cellulosa del legno o del cotone, ma ben presto venne messa da parte perché il tessuto si rovinava facilmente. Stessa sorte per il jersey, una stoffa a maglia rasata, molto morbido, anche la seta. Negli anni trenta si ricorre ai tessuti elasticizzati, permetteva ai costumi di avere una maggiore aderenza al corpo. Oggi vengono utilizzati il lycra, il lastex e raramente il cotone. Attualmente vi sono tante tipologie in commercio, i modelli: intero, due pezzi tra cui il famosissimo bikini ed il topless. Per gli uomini: gli slip, i parigamba e i boxer.
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