In questi giorni sto sentendo molti giudizi discordanti sul destino del Fashion System dopo il Covid-19, una cosa è certa però, si respira aria di molta incertezza.
Però non tutto il male viene per nuocere, no? Infatti, a mio avviso sta tornando in maniera molto forte un gran nazionalismo, che sicuramente se persiste influenzerà diversi settori, tra cui ovviamente la moda. Infatti tra le mille dirette seguite, e i tanti articoli scritti dai colleghi, si mette un po’ sotto torchio, il “Fast Fashion”, che ovviamente non è un prodotto “Made in Italy”.
Molti di voi si chiederanno ovviamente cosa, sia. “Fast Fashion”, innanzitutto significa “moda veloce”. Un termine, sempre più comune nelle aziende di abbigliamento, che hanno avuto una crescita importante negli ultimi 20 anni. Questa diffusione ha mutato profondamente le abitudini di acquisto dei consumatori, grazie anche all’inesorabile mutamento della civiltà e delle abitudini. Questa strategia di produzione rapida a un prezzo accessibile viene utilizzata dai grandi rivenditori come H&M, Zara, Peacocks, Primark, Xcel Brands e Topshop. Già in ribasso prima della crisi generata dal Coronavirus, il Fast Fashion è il settore che in questo momento di chiusure dà i segnali più preoccupanti. Questo perché?
I grandi magazzini vuoti da settimane, non possono riaprire con le vecchie formule ormai impraticabili, primo esempio tra tutti è la quantità di gente che prima di questo momento storico transitava in queste attività. H&M, uno dei colossi più famosi di questo mondo, ha dichiarato solo in Italia, di voler chiudere 7 negozi a cui ne ha aggiunto un ottavo, a Bari. Il brand svedese intende chiudere ben due store storici a Milano (in via Torino e corso Buenos Aires dove sono occupato 70 persone), gli altri a Udine, Grosseto, Gorizia, Vicenza e Bassano del Grappa. Il fallimento del colosso fast fashion americano Forever 21, è l’esempio più eclatante delle difficoltà del sistema della moda low cost: la domanda a cui ora si cerca di dare una risposta è perché il marchio, un tempo fiorente, è andato in pezzi. Una delle ipotesi è che la fast fashion stia morendo, perché nella sua corsa alla crescita, Forever 21 ha intrapreso una rapida espansione globale, che si è rivelata più complicata e costosa di quanto si aspettasse. Ma a mio modesto parere, soprattutto dopo le dichiarazioni dello stilista Giorgio Armani, c’è una voglia del ritorno alla qualità e non alla quantità, frenando di conseguenza la corsa agli acquisti e quindi all’indebolimento del Fast Fashion. Come in tutte le cose, solo il tempo ci darà le risposte, ma sono sicuro torneremo a parlare di questo argomento, soprattutto per il gran fermento e la voglia di cambiamento che si respira nell’ultimo periodo.
a cura di Cristiano Gassani