“Sono nata il ventuno a primavera, ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle potesse scatenar tempesta”.
Una tempesta, alternata a dolci schiarite, questa è stata la vita di una donna che ha fatto della poesia la sua e la nostra terapia: Alda Merini, nata il 21 marzo 1931. Una donna che, fino all’ultimo respiro, ci ha emozionato con la sua arte, espressione assoluta della sua voglia di sentirsi libera, diversa. “Non cercate di prendere i poeti, perché vi scapperanno tra le dita”
Oggi, inizio di Primavera e Giornata Mondiale della Poesia, istituita nella XXX sessione della Conferenza Generale Unesco nel 1999 e celebrata per la prima volta l’anno seguente, si celebra il compleanno di colei che, a mio avviso, rappresenta l’emblema più vero della poesia italiana contemporanea. Non a caso non ho usato il verbo “si sarebbe celebrato”, lei non c’è più è vero, ci ha lasciato l’1 novembre del 2009, stroncata a 78 anni da un tumore alle ossa, ma l’arte rende immortali, così come la verità. Ed è proprio la verità che Alda canta nelle sue opere. La verità del suo coraggio, frutto di una sofferenza tanto profonda quanto reale.
La verità di una donna estremamente forte, anche se sofferente, una donna certa, nonostante ciò piena di paure e dubbi. Una donna semplice nell’animo, ma importante nell’aspetto, amava adornarsi di gioielli enormi, così come amava l’immancabile rossetto rosso sulle sue labbra. Rossetto che utilizzava anche per appuntarsi un numero di telefono, li, dove le capitava, anche sulle pareti della sua camera da letto.
Cantò il dolore degli esclusi, un dolore che le ha fatto compagnia per tutta la vita, con le sue continue entrate ed uscite dai manicomi e i 46 elettroshock che le sono stati inflitti. Ha vissuto la malattia mentale e ne ha fatto la sua forza, imparando a conviverci nel tempo. “Ombre della mente”, così definiva la sua sofferenza, una calvario che l’ha aiutata a decifrare l’animo umano. Il dottor Enzo Gabrici, lo psichiatria che l’ebbe in cura durante gli anni del manicomio, ritiene che l’atto creativo sia stato per Alda il “balsamo” del suo dolore.
Ed è proprio durante il periodo del suo primo internamento che Alda sperimenta fino in fondo il dolore e la solitudine. Lei stessa non sapeva neanche che esistessero gli ospedali psichiatrici. La prima volta fu internata a sua insaputa. Si ritrovò sola e stanca in una realtà che non conosceva e temeva. Il marito stesso non fu in grado di starle vicino. “Mio marito non veniva mai a trovarmi. Ogni giorno mi appostavo davanti all’ingresso e mi accoccolavo per terra, proprio come una geisha, e aspettavo per ore che lui si facesse vivo. Poi, vinta dalla stanchezza, e con le lacrime agli occhi, tornavo nel mio reparto”. Questo il suo racconto, reso ancora più doloroso dai suoi versi: “Ti aspetto e ogni giorno mi spengo poco per volta e ho dimenticato il tuo volto. Mi chiedono se la mia disperazione sia pari alla tua assenza, no, è qualcosa di più: è un gesto di morte fissa che non ti so regalare”.
Una donna dalle mille sigarette al giorno, che ti accoglie a casa vestita con ciò che ha di più umile, offrendoti qualsiasi cosa, dal caldo bicchiere di vino rosso ai tortelli dolci. Una casa semplice e accogliente, che racconta la sua storia, ricca di foto, che la ritraggono anche nuda. Così parla di lei chi ha avuto la fortuna e la gioia di conoscerla dal vivo.
Lei stessa ammetteva di non capire perfettamente il senso della sua poesia, il dono che possedeva. I suoi versi erano spesso frutto dei suoi sogni, si abbandonava naturalmente alla sfera onirica. Il sogno era in grado di restituirle quella leggerezza che la vita le aveva strappato troppo presto.
Aveva imparato ad accettare il male, attaccandosi ad una fede che non era il credo istituzionale della Chiesa, dalla quale, anzi, si allontanava categoricamente, e lasciando che la comprensione del dolore spettasse a chi è più in alto di noi.
“Ho cominciato a piangere per gioco, e poi ho creduto che fosse il mio destino”. Alda Merini ha vissuto di poesia e fede, smettendo di porsi domande sulla sua sofferenza. “Io il male l’ho accettato ed è diventato un vestito incandescente. È diventato poesia. È diventato fuoco d’amore per gli altri”.
Ecco la vera forza di questa meravigliosa creatura, vittima e artefice del suo stesso tormento. Una donna che ha amato, visceralmente, e ha desiderato l’amore non per necessità, ma come opportunità per esprimere il meglio di sé, per donarsi totalmente. In fondo è questo che una vera donna brama, donarsi con tutta se stessa, fino quasi a consumarsi.
“Ci sono donne… E poi ci sono le Donne Donne… (…) Amale sapendo che non ne hanno bisogno: sanno bastare a se stesse. Ma appunto per questo, sapranno amare te come nessuna prima di loro”.
Grazie Alda!