A milano, Palazzo Reale ospita la mostra di Segantini. Il ritorno a Milano, la retrospettiva sul pittore simbolista costruita con 120 opere in arrivo da 80 prestatori internazionali. Una retrospettiva così grande su Giovanni Segantini non si vedeva nel nostro paese dalla fine dell’Ottocento.
Realizzata dal Comune di Milano, Palazzo Reale e Skira in collaborazione con la Fondazione Antonio Mazzotta, la mostra inaugurata giovedì 18 settembre sarà visitabile fino al 18 gennaio 2015.
Si tratta di un’esposizione eccezionale non soltanto per la quantità delle opere (com’è noto, infatti, Segantini morì a 42 anni, lasciando una produzione tutto sommato piuttosto limitata) ma anche per la pregevolezza dei prestiti – molti da istituzioni milanesi, come la GAM, e da collezioni private – che consentono di mettere a confronto i dipinti con i loro bozzetti preparatori e con i numerosi disegni attraverso i quali l’artista, una volta terminati i quadri, era solito tornare a meditare sui propri soggetti.
È il caso ad esempio di quello che è stato definito il testamento artistico e spirituale di Segantini, Ave Maria a trasbordo, presente in mostra in ben cinque versioni: quella più nota, l’olio su tela in prestito dalla Fondazione Segantini di Saint Moritz, e diverse rivisitazioni precedenti e successive, provenienti da istituzioni pubbliche e collezioni private.
Distribuite in otto sale su una superficie di 1500 mq, le opere sono organizzate per temi, «Per meglio far comprendere l’evoluzione della narrativa segantiniana», come spiega la curatrice Annie-Paule Quinsac, che a Segantini ha dedicato quasi mezzo secolo di studi e otto mostre in tutto il mondo, coadiuvata nel suo lavoro per Milano da Diana Segantini, pronipote dell’artista e già curatrice della mostra tenutasi alla Fondazione Beyeler nel 2011.
«Quello di Segantini è un simbolismo che vuole esprimere ciò che della natura non si vede con gli occhi – continua Quinsac – Si tratta di un aspetto latente già nelle opere giovanili, che si sviluppa mano a mano che l’artista conosce un’evoluzione tecnica. In questo senso il divisionismo diventa per lui lo strumento ideale per tradurre in pittura ciò che intendeva esprimere».
E proprio il periodo di formazione di Segantini rappresenta uno degli aspetti più interessanti della mostra, con l’esposizione di buona parte dei dipinti realizzati a Milano dall’artista nel periodo giovanile. Un periodo cruciale. Nato nel Trentino austriaco e irredento, orfano di madre, Segantini si trasferisce a Milano vivendo un’infanzia dai tratti dickensiani, approdando poi alla pittura che lo renderà – giovanissimo – una celebrità acclamata e ricercatissima.
Nei 17 anni che passa a Milano, tra gli studi a Brera e la frequentazione dei circoli culturali della città, egli entra in contatto con la scapigliatura, con il divisionismo, con il simbolismo. Per questo, come ricorda Quinsac, «Milano è per Segantini la città centrale nel pensiero e nell’opera. Anche se la ritrae pochissimo (e quasi tutti i quadri milanesi sono presenti in mostra, ndr), per lui è la patria intellettuale, mentre la Svizzera è la patria del sentimento».
Già, la Svizzera, rifugio per l’artista apolide (per un problema burocratica non otterrà ma il passaporto) e fonte inesauribile di ispirazione Tra le vallate dell’Engadina Segantini conosce il periodo più fertile e fortunato della propria carriera, vissuta con una passione autentica per gli spazi alpini e un’attitudine da montanaro di lusso che gli varrà il perfido appellativo di «Alpino del Palace hotel», dal nome del buen retiro dorato dove passerà lunghi periodi della sua permanenza elvetica.
Eppure, sarà la passione vera per la montagna a portarselo via, vittima di una peritonite che non fu possibile curare in tempo in quella baita sul ghiacciaio che si era scelto per dipingere meglio il paesaggio dell’Engadina. Quel trittico che rappresenta il suo lascito artistico e spirituale che purtroppo le precarie condizioni del supporto non hanno permesso di far giungere a Milano. In mostra, lo si può comunque osservare in video in tutta la sua complessità e per mezzo di bozzetti e cartoni preparatori.

120 opere in otto sale. È la più grande esposizione in Italia dalla fine dell'Ottocento. Dalla formazione a Milano alla vita in Svizzera. Da montanaro di lusso.
120 opere in otto sale. È la più grande esposizione in Italia dalla fine dell’Ottocento. Dalla formazione a Milano alla vita in Svizzera. Da montanaro di lusso.

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